Betty, la donna protagonista del nuovo romanzo di Grégoire Delacourt smette di invecchiare esteriormente a trent’anni. Il libro scandaglia la mente di questa donna che, quanto più passano gli anni, tanto più diventa fragile e insicura. Il mondo, marito e figlio inclusi, la guardano dall’esterno e vedono una donna molto bella, giovane, senza rughe, perché gli anni per lei non passano. In realtà Betty è rimasta giovane solo per gli altri, lei sta affrontando tutti i problemi, più o meno grandi, legati all’età che avanza.
L’autore con comprensione, dolcezza e rispetto ci fa entrare nella psiche di questa donna, fino a parteggiare per lei di fronte a ogni sua scelta. Attraverso lo sguardo di Betty nel lettore si aprono finestre di riflessione legate al rapporto con la madre, con il compagno, con i figli, e numerose domande si impongono: “Quante volte non vogliamo andare oltre alle apparenze? Per semplicità? Per pigrizia? Perché viviamo di corsa?”
Betty, dal canto suo, è una donna come tante che, solo quando l’essere e l’apparire arriveranno a coincidere, riuscirà a trovare un equilibrio.
Numerosi gli spunti di riflessione legati a questo romanzo che abbiamo avuto la possibilità di approfondire intervistando l’autore.
Un primo elemento fondamentale nel libro è l’apparenza; come ha deciso di parlare di questo tema? Si tratta di un tema molto sentito e anche molto comune. Quando da ragazzini si smette di indossare gli abiti suggeriti dai genitori e si comincia a decidere il proprio abbigliamento, ecco che questo aspetto diventa parte della nostra vita. Si inizia ben presto a voler assomigliare a qualcuno, l’apparenza diventa un elemento con il quale facciamo i conti e che, spesso, preoccupa. Del resto, io che per anni ho lavorato nel mondo della pubblicità ho proprio toccato con mano quanto l’apparire, purtroppo, spesso sia una chiave interpretativa.
Prendendo spunto dalla frase “le foto non mostrano tutto” (p. 60), mi è venuta in mente la grande differenza tra l’essere e l’apparire, dilagante nei social. Che rapporto ha con questi nuovi media? Sono molto prudente verso i social. Se usati male, soprattutto fra i giovani, diventano un’arma di violenza e di sofferenza, basti pensare ai casi di ragazzi, arrivati addirittura al suicidio. D’altro canto, ne sono affascinato, perché costituiscono uno strumento di libertà e di discussione. Il problema è che spesso ci si mette a nudo senza pensare alle conseguenze. Inoltre, talvolta non si ha nulla da dire e si ricorre ai social in mondo indiscriminato. Solo se usati con serietà e disciplina, diventano uno strumento che consente di condividere idee, cose belle e, non da ultimo, posso essere una modalità di riunire le persone, di sentirsi parte di un gruppo con progetti comuni. Purtroppo però sui social non ci sarà mai la tenerezza e la sincerità che caratterizzano i rapporti interpersonali.
“Si possono avere dieci padri, ma di madre ce n’è una sola” (p. 37). Nel libro c’è il tema del rapporto con i genitori e con la madre in particolar modo. Se non sono troppo indelicata la domanda, come è stato il rapporto con sua madre e con il suo invecchiamento? Solo alla fine del libro mi sono accorto che, inconsciamente, il libro lo avevo scritto per lei. Quando è uscito in Francia e l’ho visto nelle librerie, ho capito che nel titolo c’era mia madre e, guardando una sua foto, ho preso coscienza che purtroppo la sua vita si era fermata per sempre. Il rapporto con la sua morte si è trasformato in tenerezza e in voglia di nutrire i ricordi legati a lei. Il libro è un modo per tenerla vicino.
Pensa che il tema dell’apparenza e dell’invecchiamento sarebbe stato visto e vissuto diversamente da un uomo, da un padre? In passato, certamente sì. Ora però gli uomini stanno cambiando. Prima l’uomo, anche nella letteratura, era il simbolo della forza e del vigore. Ora gli uomini acquistano prodotti di bellezza, fanno ginnastica, colorano i capelli, combattono contro la pancia, mentre nella storia era solo la donna che si concentrava sull’apparenza.
“La felicità, lo sanno tutti, è un’ospite lunatica” (p. 69): in che senso? Mi rifaccio a una frase di Prévert che diceva che la felicità, la riconosciamo solo quando sta per andarsene. Purtroppo non abbiamo coscienza del momento di felicità e non ci rendiamo conto che non dura. Però quando la perdiamo ecco che ci accorgiamo che è venuta meno.
Nel libro emerge il tema dell’insicurezza soprattutto legato alla giovane età. Non pensa che oggi si è portati a essere insicuri anche a 40 o a 50 anni? Innanzitutto a 40 e 50 anni si è ancora giovani! Ogni fase della vita porta con sé insicurezze diverse. Da ragazzi c’è un’insicurezza più legata all’apparenza, poi arriva quella connessa all’interiorità, per poi giungere alla paura di essere soli, di perdere la giovinezza. Essere vecchi e soli è terribile!
“[…] Xavier, mi ami, e spesso amare significa sentirsi soli” (pg. 154). Ci spiega questa affermazione? La frase, in questo pezzo, è per Xavier, che è molto più giovane della protagonista. In realtà, il concetto è legato al fatto che si è soli ogni volta che, anche in coppia, non si è sulla stessa lunghezza d’onda, oppure quando non c’è simmetria di spazio e tempo tra due persone che si vogliono bene, ma non con le stesse modalità.
Betty, la protagonista, riuscirà a rinascere solo quando essere e apparire…. Quando finalmente si accetta di non dipendere dagli altri, si diventa liberi quando realizziamo che il mondo gira intorno a noi e non viceversa!
Un’ultima domanda: ci parla del suo percorso creativo di scrittura? Parto da un tema e poi subito dopo arriva il personaggio. Per mesi personaggio e storia si muovono nella mia mente e io ascolto tutti questi movimenti. Solo a questo punto scrivo, in altre parole inizio a scrivere solo quando tutto è già scritto e organizzato nella mia testa.
Intervista pubblicata su www.criticaletteraria.org